A rispondere ad alcune domande e a parlare dell'emergenza coronavirus è Andrea Lenzi, Professore ordinario di Endocrinologia dell'Università di Roma La Sapienza, Presidente del Comitato di Biosicurezza, Biotecnologie e Scienze della Vita della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dell'Intercollegio Universitario di Area Medica, e prossimo ad entrare nel consiglio direttivo di Amref Health Africa - Italia, per rafforzare la componente sanitaria.

Da quanto tempo lavora nell'ambito medico?

Ho iniziato a lavorare come medico nel 1977, anno della mia laurea. Ho quindi visto la medicina evolversi dalla fine degli anni '70, a oggi. In questo lungo periodo, e fino a qualche mese fa, si pensava che uno dei maggiori impegni per il futuro sarebbe stato come migliorare la qualità della seconda metà della vita e soprattutto nell'ultima parte, cioè a come fare in modo che dai 70 agli 85 anni e oltre si potesse vivere vita di qualità (aggiungere cioè qualità alla lunghezza o longevità). Le grandi sfide riguardavano le cosiddette malattie non trasmissibili (NCD), cioè malattie metaboliche, cardiovascolari, neurodegenerative.

E adesso?

Adesso, drammaticamente e in modo inatteso, stiamo affrontando un virus, che dal punto di vista delle caratteristiche non è terrificante come l'ebola o il vaiolo, ma è nuovo, dunque mai affrontato prima. Questo significa che c'è un'assenza assoluta di immunità pregressa. Il sistema immunitario di tutti gli esseri umani non ha mai incontrato questo virus, quindi nessuno di noi ha ciò che si chiama immunità naturale o immunità innata. Inoltre, la sua rapidissima diffusione ha condizionato in modo repentino sia lo stato mentale di tutti i cittadini del globo, ma anche i comportamenti e l'operatività di noi medici, costringendoci a un cambio velocissimo.

Quali sono le differenze con quelli che sono stati i casi di Ebola o Vaiolo?

Innanzitutto, questo virus si presenta come un virus di tipo respiratorio e si potrebbe paragonare, in termini di vie di trasmissione, a un raffreddore o a un'influenza. Il problema è che, in alcuni casi, questi sintomi sono accompagnati da una grave infiammazione polmonare che provoca una grave insufficienza respiratoria. Questa infiammazione si chiama polmonite interstiziale, che blocca la capacità del polmone di portare ossigeno all'interno del sangue e smaltire anidride carbonica. Ciò significa che il paziente, nella fase più pesante della malattia, non può respirare senza un sistema di ventilazione forzata e purtroppo, qualche volta, non basta neanche quello. Però, rispetto al vaiolo o all'ebola, che sono malattie che hanno una letalità estremamente elevata, la Covid-19 (Covid è il nome della malattia, mentre il virus si chiama Sars-Cov2) ha una letalità elevata solo in classi di età sopra i settant'anni, mentre al di sotto è contenuta e sotto i quaranta anni, dunque decisamente bassa.

Come si sta muovendo la comunità scientifica?

La comunità scientifica si sta muovendo su tre fronti. Da un lato, avendo identificato il virus, la comunità scientifica sta cercando di produrre un vaccino. Ci vorrà tempo per far sì che il vaccino possa essere commercializzato. Per verificarne la sicurezza e l'efficacia potrebbe essere necessari più di 6 mesi, forse un anno. Dall'altro lato, ci si sta è impegnando per trovare farmaci che consentano di aumentare le probabilità di sopravvivenza di chi entra in fase acuta della polmonite interstiziale di cui parlavo prima. Infine, si sta cercando di comprendere meglio il virus perché, sicuramente, di là del vaccino, ci sono anche dei sistemi biologici e genetici che evitano che il virus "attracchi" sulla cellula umana. Si stanno studiando approfonditamente i recettori del virus. In poche parole, il virus viaggia, e a un certo punto trova un punto di adesione e ingresso sulla cellula, poi viene internalizzato e inizia a replicarsi passando da cellula a cellula, provocando danni all'organismo. Ci sono, come in tutte le patologie virali, dei sistemi di competitività recettoriale attraverso i quali si può cercare di ostacolare l'accesso. Una volta capito qual è il recettore che lo fa penetrare, si può cercare di ridurre il numero di recettori disponibili o di avere recettori protetti e indisponibili al virus. Inoltre, si sta studiando la componente genetica del virus e dei sistemi immunitari degli esseri umani, perché per alcuni il virus è letale, ma ci sono anche soggetti asintomatici, o paucisintomatici, ovvero con pochissimo sintomi - cioè manifestano solo un raffreddore, per esempio - e ci sono anche individui che addirittura restano sani. Questo vuol dire che in alcuni casi la genetica dell'immunità protegge più che in altri. Su questo si stanno impegnando anche genetisti che fanno parte del Comitato della PdCM che coordino.

L'OMS ha parlato di pandemia piuttosto che di epidemia. Cosa cambia?

La pandemia è un termine che spaventa, e letteralmente vuol dire tutto il popolo: pan vuol dire tutto, e demos vuol dire popolo, e ciò significa che nessuno ne è esentato. In realtà la pandemia viene dichiarata quando un'infezione colpisce tutti i continenti. A questo punto " tranne forse in Antartide " credo ci siano infetti ovunque, più o meno evidenziati, quindi definire il virus una pandemia era una dichiarazione obbligatoria.

In passato ci sono state altre pandemie?

Io ero un ragazzino, ma una pandemia che ricordo è l'influenza cosiddetta 'asiatica' del 1957. Avevo quattro anni, e quell'anno mi trasferii con la mia famiglia da Bologna a Roma. Una volta arrivato a Roma, mi ricordo che mia madre mi chiuse in casa per quello che mi sembrò tanto tempo. Non capivo, associavo al trasloco, poi ho capito, ma ricordo che fu un caso eclatante. Un altro esempio è l'influenza spagnola del 1918. Più recentemente abbiamo avuto altre forme virali non classificate come pandemie e comunque meno invasive e diffusive.

Lei crede che questo sviluppo che c'è stato in Italia possa presentarsi in altri paesi in Europa, o in altri continenti? O pensa che in Italia possa esserci stata una falla nel sistema?

No, nessuna falla in Italia. Non appena abbiamo accertato dei casi, abbiamo preso provvedimenti. È evidente che non siamo militarizzati come la Cina, quindi i nostri provvedimenti sono stati condivisi, scalari e decisi ai vari livelli, fino a raggiungere (come oggi) la chiusura di tutta gli esercizi tranne quelli di prima necessità. L'espansione nel resto di Europa è certa e già in atto. Purtroppo, i sistemi sanitari di altri paesi sono più lenti, alcuni stanno semplicemente aspettando, ma si può solo auspicare che la consapevolezza di ciò che sta per succedere li aiuti a prendere decisioni tempestive. Serve per loro e per il nostro futuro per evitare infezioni di ritorno.

In situazioni di fragilità sanitaria, quali sono i rischi maggiori?

In situazioni di fragilità sanitaria - in alcuni paesi del Medio Oriente e nella maggior parte dei paesi africani - si potrebbero creare dei focolai e delle zone di endemia, ovvero zone in cui la malattia o il virus rimarrà costantemente presente. Per ora sembra che la popolazione africana sia meno predisposta geneticamente, però, allo stesso tempo, non abbiamo numeri veri. Mancano sistemi epidemiologici di certificazione. Oggi non so dare risposte certe sull'Africa, ma mi auguro che siano davvero più protetti.

Perché ha deciso di entrare nel Consiglio Direttivo di Amref?

Possiamo utilizzare, ancora una volta, il coronavirus come esempio. La migliore terapia, in questo caso, è una 'terapia sociale,' che sta nell'informare la popolazione della propria fragilità, ma anche della propria forza. Se seguiamo le regole, ci salviamo. Distanziamento sociale e norme igieniche: sono queste le migliori terapie che oggi possiamo utilizzare. Dal mio canto, mi impegno nel campo sanitario, scientifico, sociale e umanitario con la stessa attenzione che dedico anche alle popolazioni che ne hanno più bisogno. Una delle grandi sfide dei prossimi anni " oltre a curare con rigore, costruire ospedali e fornire le medicine necessarie " sarà aiutare l'Africa nella formazione del personale, nell'informazione sanitaria e nell'educazione all'igiene, tutti strumenti fondamentali per far fronte a emergenze come questa.

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Per saperne di più, Amref Health Africa-Italia ha creato uno spazio dedicato ai contenuti riguardanti lo sviluppo di Covid-19 nel mondo e in Africa: Wakelet, Speciale Coronavirus