Coltivare alleanze consapevoli per contrastare il razzismo anti-nero e contribuire a decostruire gli atteggiamenti e i linguaggi discriminatori nei confronti delle persone di provenienza africana grazie al ruolo attivo delle associazioni di afrodiscendenti.

È stato questo l’obiettivo dell’evento pubblico “Get Under My Skin! Per un’alleanza contro l’afrofobia”, organizzato da CHAMPS, dal partenariato che vede capofila Amref Health Africa Onlus Italia con CSVnet, Divercity APS, Le Réseau, Osservatorio di Pavia, Razzismo brutta Storia in collaborazione con Arising Africans, CSV Marche e Carta di Roma.

L’incontro si è aperto con i saluti istituzionali di Michaela Moua, Coordinatrice della Commissione Europea per la lotta al razzismo: “Nel 2020, dopo l’episodio dell’uccisione di George Floyd negli Stati Uniti, abbiamo capito che la legislazione europea doveva necessariamente essere rivista.

Nel nostro Piano d’azione contro il razzismo è contenuto il termine afrofobia; un termine che non ha un consenso generale circa la sua esatta definizione, ma che può essere definito come qualsiasi atto di violenza, odio e abuso storico che porta alla de-umanizzazione delle persone afrodiscendenti.

Il razzismo strutturale può essere visibile e riconoscibile condividendo e diffondendo i pattern discriminatori nei vari Paesi, ma questo non basta. è necessaria l’applicazione di sanzioni che puniscano questi atti discriminatori per proteggere i gruppi vulnerabili, ma ancor prima è importante che vengano capiti quali diritti vengono violati e perché”. – afferma Michaela Moua. 

Il primo panel della mattinata si è aperto con le parole di Mehret Tewolde Weldemicael, dell’Associazione Le Réseau, che ha introdotto il primo dibattito “Narrazioni su Africa e afrofobia: quali interconnessioni” chiedendo di avere “consapevolezza delle proprie azioni e di quelle degli altri, intervenendo senza compassione o pietismo, ma agendo con consapevolezza e presa di coscienza davanti a episodi di odio razziale”.

“Il razzismo c’è, esiste” - continua Mehret Tewolde Weldemicael “ma non ammettendolo, come possiamo andare oltre?”

La prima voce del dibattito è stata quella di Ada Ugo Abara, Presidente Arising Africans e Founder&CEO D-Tech 4 Good, che ha posto il focus sull’importanza di conoscere la propria storia e le proprie radici per difendere i propri diritti: “Quando parliamo di alleanze, non basta essere neri per poter parlare dell’Africa, come non basta essere di sinistra per essere definiti anti-razzisti.

Come noi che viviamo il fenomeno sulla nostra pelle, allo stesso modo una persona che vuole definirsi nostra alleata in questa battaglia deve impegnarsi nello stesso percorso di studio e lottare contro narrazioni marginalizzanti. Questo percorso ha tre pilastri: lo studio, l’intenzionalità e la capacità di mettersi in dubbio”.

E di narrazioni marginalizzati ne ha parlato anche Elizabeth Ntonjira, Direttrice della Comunicazione di Amref, con una riflessione sul ruolo imprescindibile della comunicazione per la rappresentanza di storie di innovazione e di empowerment di cui l’Africa è ricca, ma che purtroppo non vengono mai raccontate. 

Una narrazione errata che prosegue da centinaia di anni, come spiega il giornalista e scrittore Filomeno Lopes: “Il continente africano è entrato nei libri di storia con il colonialismo. Ciò che non è diventato storia, invece, è il popolo africano. Per arrivare alla vera indipendenza e dare voce al popolo, è necessario che l’Unione Africana arrivi a difendere la sua gente fuori dai confini, altrimenti nessun nero sarà protetto”.

La narrazione che viene proposta mostra l’Africa come un continente senza storia” - conclude Sara Kamsu, giornalista e ideatrice di @weafricansunited.

“Nella nostra piattaforma raccontiamo la parte di storia in cui gli africani sono stati attivi, nonostante schiavitù e colonizzazione. Il nostro motto è “Scriviamo la storia, facciamo la storia” perché è importante conoscere il proprio passato ma non significa rimanervi ancorati, anzi, vuol dire ritrovare e riconoscere la grandezza dei nostri antenati per costruire un mondo migliore per noi”.

A seguire, lo speech di Marie Paule Essonmala N’Guessan, Project Manager nel Terzo Settore e Coordinatrice ECCAR, AFAR, ha sottolineato l’importanza della rappresentanza delle persone nere nei vari contesti di vita, come in quello lavorativo, proprio per dare - specialmente ai più piccoli - un chiaro segnale della possibilità di qualsiasi comunità di poter ricoprire qualsiasi ruolo nella società. 

In occasione dell’evento, sono stati presentati i risultati della prima indagine in Italia dedicata alla percezione dell’afrofobia dal titolo “Sguardo Tagliente - Conoscenza, consapevolezza e percezione dell’afrofobia e del razzismo sistemico nei settori di sanità, istruzione e comunicazione" e curata da Paola Barretta e Giuseppe Milazzo, ricercatori dell'Osservatorio di Pavia.

L’indagine – condotta attraverso 6 distinti focus group formati da 60 persone tra soggetti bianchi, africani e afrodiscendenti appartenenti ai settori della sanità, dell’istruzione e della comunicazione – ha messo in luce come le persone Nere siano più inclini a percepire il razzismo come sistemico rispetto a una dimensione individuale.

Accettare che il razzismo è un sistema di potere, significa riconoscere innanzitutto che esso esiste non come fantasia nella mente deviata del razzista, ma come elemento che struttura la nostra società” – si legge nella ricerca. In altre parole, il razzismo si configura come una norma silenziosa, e naturalizzata all’interno delle relazioni sociali. 

Attraverso l’indagine è stato possibile analizzare le caratteristiche del linguaggio adoperato dai partecipanti ai focus group.

Per l’80% degli intervistati il termine afrofobia sia fuorviante e limitante.

Dal punto di vista terminologico il termine più adoperato da africani e afrodiscendenti per riferirsi all’afrofobia è razzismo, termine che ricorre con una frequenza doppia rispetto ai focus con i bianchi che preferiscono usare termini meno stigmatizzanti e forse autoassolventi come stereotipo, pregiudizio, diffidenza.

Considerando invece il colore della pelle, i bianchi hanno nominato 88 volte in meno dei neri lemmi come colore, pelle, bianco e nero

Per cercare di sradicare i fenomeni afrofobici tutti i partecipanti al focus pensano sia necessario rafforzare la conoscenza su questi temi e proporre percorsi di formazione interculturale e sul razzismo all’interno dei diversi settori lavorativi ed educativi.

I dati del dossier sono stati il punto di partenza della riflessione degli ospiti dell’evento e del gruppo AFAR – Afro descendant Fighting Against Racism che hanno proposto con uno sguardo intergenerazionale e intercontinentale il loro punto di vista alternativo per contrastare il razzismo.

“È ora di cacciare il razzismo dalla nostra società denunciare le aggressioni sia fisiche che verbali e, nello stesso tempo, attivarsi per ricucire gli strappi che genera l'odio." afferma Paola Crestani, Presidente di Amref Health Africa- Italia.

“Abbiamo bisogno di piazze - grandi e piccole - che si uniscano e si riempiano di sentinelle e non solo di sentinelle afrodiscenti, ma di tutti coloro che reclamano quella normalità, contro il razzismo. Abbiamo di organi d'informazione che non rafforzino stereotipi, forieri solo di paure. Abbiamo bisogno di tutti, per portare la nostra società fuori dalla barbarie dell'odio anti-nero di ogni forma d'odio inoltre è fondamentale ribadire ai decisori politici l'urgenza di una legge sul diritto di cittadinanza”

Durante il panel, è intervenuta anche Cinzia Adanna Ebonine, educatrice, formatrice, psicologa in formazione e parte del gruppo AFAR, parlando del razzismo insito nelle scuole italiane e del ruolo fondamentale del docente quale change maker.

È proprio la scuola, infatti, il primo luogo sociale in cui si deve fare il possibile affinché il cambiamento avvenga. “Non ricordo mai di aver studiato la storia del mio continente in un contesto di non subalternità.  Solo quando laureata mi sono chiesta se questa fosse la mia vera identità- afferma Cinzia Adanna Ebonine. “Mi piacerebbe che gli insegnanti un giorno possano insegnare la storia delle origini di tutti gli studenti”.

“Dal rapporto emerge la necessità delle persone nere di dover raccontare la loro storia, non accettare di buon grado la narrazione dei bianchi” afferma Triantafillos Loukarelis, Presidente Comitato Direttivo dell’Antidiscriminazione, la Diversità e l’Inclusione (CDADI), già Direttore Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR).

“Il dossier ci dà un quadro di quello che è la prima discriminazione, lo sguardo, il modo per eccellenza per mantenere la distanza. Ma ci mostra ancora tanti stereotipi ancora in vita, come l’iper-sessualizzazione del corpo femminile, o sentimenti di pietismo e paura. Risulta necessario istituire in Italia un’autorità indipendente per i diritti umani, ma ancor prima dobbiamo riconoscere gli errori commessi nel nostro passato colonialista” 

È intervenuto nel dibattito anche Roberto Natale, Direttore Rai per la Sostenibilità – ESG, ricordando due date cardine per far comprendere con quanta fatica avvengono certi passi in avanti, ricordando l’apertura della prima sede di corrispondenza in Africa nel 2006 – ne esisteva solo una a Il Cairo - e la nascita della Carta di Roma nel 2008.

“Vogliamo impegnarci nel parlare di questioni sociali e continueremo a farlo. Per noi il servizio pubblico significa diritti, inclusione, interazione. Specialmente dopo il grave errore commesso per l’imitazione irrispettosa del cantante Ghali, siamo convinti che serva una figura all’interno del sistema Rai che possa assicurare spazio, diritti e rappresentanza delle persone nere all’interno del servizio pubblico” – afferma Roberto Natale.

Sul tema della comunicazione si è espressa anche l’attrice Tezeta Abraham, “Per quanto le cose stiano cambiando, bisogna impegnarsi molto di più. Dobbiamo riconoscere gli errori del passato colonialista dell’Italia e capire l’opportunità e la ricchezza che rappresentano le comunità africane nel nostro Paese. 

Noi neri dobbiamo collaborare con i professionisti di questo Paese, ma abbiamo bisogno anche di un nostro spazio, non solo di essere raccontati”.

La mattinata prosegue con lo speech di Benedicta Djumpah, attivista antirazzista e Student Life Coordinator (Temple Rome University), AFAR: “Il razzismo non è un singolo episodio di una persona ignorante, ma è inglobato nella nostra cultura. La scuola è la prima istituzione che si deve fare carico della responsabilizzazione circa il linguaggio e l’informazione sulla cultura africana”. Aggiunge inoltre: “Non siamo persone da salvare, siamo persona da ascoltare. La responsabilità all’accesso e all’ascolto delle nostre storie sta alla collettività” 

A conclusione dell’evento è stato presentato Verso un Manifesto, una carta di posizionamento sull’afrofobia e il razzismo antinero che vuole rimanere aperta in termini di adesione e di evoluzione dei contenuti, a tutte le persone impegnate o che intendono impegnarsi in un percorso comune di contrasto al razzismo.

Per farlo CHAMPS si impegna a favorire la raccolta ed elaborazione di dati quantitativi, sviluppare e promuovere luoghi di apprendimento, di formazione e di costruzione di comunità, porre al centro della narrazione e la voce delle persone razzializzate e diffondere un’informazione corretta e accurata attraverso il coinvolgimento delle voci dirette.

Si cercherà anche di moltiplicare gli spazi pubblici di confronto, di scambio e di visibilità a livello nazionale e internazionale per sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni e aumentare la consapevolezza rispetto all’afrofobia e al razzismo antinero attraverso anche forme di affirmative actions e azioni positive.

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Il progetto è realizzato con un finanziamento dell’Unione Europea: Programma Equality and Citizenship Program (REC 2014 – 2020).