Contrastare il COVID-19 in situazioni di estrema fragilità. È questo il compito dei Village Health Teams e dell’intera comunità del campo per rifugiati Rhino Camp, nel Nord Uganda.

“Non importa chi tu sia o che possibilità tu abbia, ciò che importa è che le tue forze siano incanalate nella direzione giusta”. Sono queste le parole di Christine Lanyero, Project Manager di Amref Health Africa – Uganda a Rhino, che ci racconta le difficoltà e i risultati finora ottenuti nella lotta contro il COVID-19 nel campo.

Qual è la situazione attuale nel campo?

In questo momento, l’Uganda conta 16.020 casi di COVID-19, e 145 decessi legati al virus. Nel campo per rifugiati di Rhino, finora, sono stati rilevati solo 2 casi di COVID-19. Un malato della comunità dei rifugiati, e uno delle comunità ospitante. Grazie agli sforzi di questi ultimi mesi per potenziare le strutture sanitarie del campo e perfezionare le competenze del personale sanitario, i casi sono stati isolati fino alla loro negativizzazione e sono ora entrambi sani.

Ci potrebbe fare qualche esempio degli sforzi fatti e dei risultati ottenuti?

Con l’obiettivo di mitigare la diffusione del virus e le potenzialmente tragiche conseguenze socioeconomiche, psicologiche e sanitarie, Amref, la Nando and Elsa Peretti Foundation e Stavros Niarchos Foundation collaborano ad un intervento di contrasto alla diffusione del COVID-19 tra le comunità rifugiate e quelle ospitanti del campo per rifugiati Rhino Camp. Ad oggi, sono stati formati 94 membri della comunità dei rifugiati come Village Health Teams, sulla realizzazione di campagne di sensibilizzazione IPC (Infezione, Prevenzione e Controllo) e 50 operatori sanitari, incluso il personale di laboratorio e 50 leader della comunità sulla prevenzione del virus e sulla sorveglianza delle malattie su base comunitaria. Sono stati inoltre formati 75 leader comunitari, tra cui leader religiosi e leader per i diritti delle donne. Di questi, 70 fanno parte della comunità ospitante e 25 della comunità dei rifugiati. Abbiamo lavorato anche a stretto contatto con il distretto di Arua, dove si trova il campo, per ottimizzare gli aspetti tecnici e politici del progetto.

Forniture mediche – tra cui dispositivi di protezione individuale assortiti, che includono mascherine, stivali di gomma, grembiuli riutilizzabili e igienizzanti – sono state fornite per soddisfare le esigenze igienicosanitarie di tutti gli operatori sanitari.

In cosa consiste la formazione di leader religiosi?

I leader religiosi, come ogni altro leader formato all’interno del campo, sono stati formati in base alla necessità di potenziamento della consapevolezza del COVID-19 tra le comunità rifugiate e quelle ospitanti, attraverso informazioni accessibili e affidabili. Amref – organizzazione aconfessionale – ha valutato che ognuna di queste persone sarebbe stata a contatto con molti membri di entrambe le comunità e avrebbe avuto modo di dare loro delucidazioni sul virus, e diffondere informazioni necessarie in maniera efficace e confortante. Abbiamo leader Cattolici, Protestanti, Musulmani… proviamo a raggiungere la totalità del campo.

Quali attività vengono svolte, oltre agli incontri religiosi, per potenziare questa consapevolezza?

Le attività di sensibilizzazione vengono svolte in vari modi. Diramiamo aggiornamenti e indicazioni durante le trasmissioni radiofoniche, facciamo circolare numerosi volantini contenenti le informazioni necessarie riguardanti il COVID-19 e, da quando hanno riaperto le scuole, organizziamo attività di sensibilizzazione all’interno delle classi. Molti operatori sanitari all’interno del campo si stanno inoltre impegnando in varie campagne di sensibilizzazione porta a porta, per raggiungere interi nuclei familiari in maniera sicura, all’interno delle loro abitazioni.

Come stanno reagendo le persone alla minaccia COVID?

La risposta delle comunità è cambiata moltissimo negli ultimi mesi, soprattutto in relazione allo stigma sociale associato alla malattia. Inizialmente, le molte ignote del virus hanno creato confusione, ansia e paura tra la gente. Sfortunatamente, questi fattori hanno contribuito ad aumentare il livello di stigma associato al COVID-19 e ad alimentare comportamenti potenzialmente dannosi. Lo stigma, infatti, può spingere le persone a nascondere la malattia per evitare discriminazione, o può indurre a non cercare assistenza sanitaria immediata. Tuttavia, questo ostacolo è stato superato: sottolineando l’efficacia dell’adozione di misure protettive e modificando la comunicazione sul virus, siamo riusciti a modificare l’esperienza di coloro che si presume abbiano il COVID-19, in termini di stigma.

Cosa è cambiato nella risposta alla minaccia, eradicando lo stigma associato alla malattia?

L’atteggiamento delle comunità è cambiato radicalmente. Le persone sono molto più proattive e molto più coinvolte. Vogliono essere informate e propongono spesso nuove idee di attività di sensibilizzazione.

Qual è stato il feedback ricevuto dai beneficiari e dalle persone coinvolte nell’implementazione del progetto?

L’aspetto più soddisfacente dell’intervento è il feedback ricevuto negli ultimi mesi. Le persone coinvolte nell’implementazione del progetto, come i beneficiari, sono estremamente riconoscenti ad Amref. In primo luogo, per le informazioni da noi fornite, per la formazione del personale sanitario e per il potenziamento delle strutture sanitarie del campo. Inoltre, i leader comunitari hanno espresso la loro gratitudine per aver dato loro voce e con essa, la possibilità di proteggere la propria comunità nei mercati, nelle chiese, nelle scuole e nei punti di ritrovo.

  • Amref non solo ci supporta, ma ci permette di fare ciò che meglio sappiamo fare, proteggendo noi stessi e gli altri.
    Leader religioso del campo

Quali sono le maggiori difficoltà riscontrate?

Le difficoltà sono molteplici. Il distanziamento sociale rimane una delle più grandi sfide, poiché i membri di entrambe le comunità del campo tendono ad avere famiglie molto allargate che vivono in stretto contatto.

Inoltre, nel campo vivono oltre 73.000 bambini, molti dei quali sono arrivati senza i propri genitori. Questo significa che nuclei familiari formati da soli fratelli e sorelle, vengono gestiti dal più grande, che spesso è un minore. Una crisi sanitaria di questo tipo è difficile da gestire a 12 anni, con 3 bambini a carico e un trauma migratorio e di separazione. Per questo motivo, gli operatori all’interno del campo sono stati addestrati per offrire sostegno psicosociale di base accessibile a tutti. Laddove ciò non risulta possibile, agli individui e alle famiglie in necessità vengono indicate strutture dedicate.

Il COVID-19 ha avuto inoltre una grave influenza sulla disuguaglianza e sulla violenza di genere; fenomeni preesistenti che, tuttavia, hanno subito un grave aumento. Abusi fisici, sessuali, verbali, emotivi e psicologici, spesso nei confronti di bambine fragili che hanno vissuto un trauma. Sono arrivate segnalazioni di circa 1.000 minori incinte, nel distretto di Arua, negli ultimi mesi.

Ci sono degli aspetti positivi della crisi?

Prima che arrivasse il COVID-19, la lotta sanitaria era contro Ebola. Questo ha reso possibile una risposta rapida ed efficace al nuovo Coronavirus: la Task Force di Ebola, ha subito iniziato a lavorare sul COVID. Inoltre, la maggior parte delle misure preventive relative ai due virus in questione, sono simili. Le comunità hanno accolto con piacere e stanno aderendo in maniera efficace al lavaggio frequente delle mani con acqua e sapone, come mezzo di prevenzione, e questo ha portato ad una diminuzione dei casi di malattie virali, batteriche e legate all’igiene.

Che messaggio vuole dare?

Solo un messaggio di solidarietà. Nel campo di Rhino, come nel resto del mondo, ognuno fa tutto ciò che può. Non importa chi tu sia o che possibilità tu abbia, ciò che importa è che le tue forze siano incanalate nella direzione giusta. Tutti possiamo fare la differenza, e come la crisi è iniziata, prima o poi finirà.


Per saperne di più:

Uganda, lotta al COVID. 120.000 rifugiati a rischio, il 60% bambini.

Uganda. 120.000 rifugiati a rischio e l’aumento del 270% dei casi COVID.