Alessandra, Mirella, Silvia. Tre insegnanti e una stessa missione, dal nord al sud Italia: educare bambini e ragazzi, fare in modo che aprano mente e cuore, per diventare un giorno cittadini responsabili, cittadini del mondo.
Ci hanno raccontato il loro impegno e dato una visione della scuola dall'interno. Le dinamiche che si volgono tra i banchi, i corridoi, le mura degli istituti scolastici sono lo specchio della società di oggi e riflettono al contempo ciò che sarà nel domani di tutti noi.
"La scuola non è una torre d'avorio della grammatica. Certi temi vanno affrontati per far crescere i ragazzi". Intervista a Alessandra Spiga insegnante della Scuola Secondaria di primo grado Dante Alighieri, Selargius (CA)
Il progetto proposto da Amref mi è interessato subito, perché affronta a tutto tondo il tema della diversità, dagli handicap alla differenza di genere, alle differenza culturali.
Credo che sia nostro compito, come insegnanti, come adulti, cercare in qualsiasi modo di aprire le menti dei ragazzi, perché questo gli permette di confrontarsi con realtà diverse dalla loro. Anche così si contribuisce alla crescita dei giovani. Qui a scuola, per esempio, non abbiamo a che fare in modo diretto con il tema della migrazione. Non abbiano un numero elevato di ragazzini stranieri, solo un piccolo gruppo di bambini rom. Ma non per questo certi argomenti non dovrebbero interessare gli studenti.
I miei ragazzi sono molto sensibili e sono stati sensibilizzati nel biennio a confrontarsi con realtà altre, diverse dalla loro. Inoltre guardano la televisione, ascoltano i discorsi che si fanno in merito all'attualità, al tema migrazioni. Noi come insegnanti abbiamo il dovere di fare in modo che i ragazzi sviluppino un'attitudine al confronto e al dialogo. È un obiettivo educativo, se non lo facciamo noi, che siamo l'agenzia preposta, chi altro può educare all'accoglienza di ciò che è diverso da noi?
La visione critica della realtà che hanno i ragazzi viene prima di tutto dalla famiglia. Quanto più in famiglia si commentano in un determinato modo le notizie - magari del telegiornale - tanto più loro assorbono, assorbono le critiche. Sono piccolini ancora, hanno una fascia di età tra gli 11 e i 13 anni, la loro visione critica se la stanno creando ora.
Bisogna cercare di stimolarli su certi argomenti. Perché alcune istanze che loro riportano quando coinvolti in un confronto, sembrano più delle ripetizioni di quanto sentono a casa, che loro pensieri.
Per questo parlare, discutere, riflettere anche a scuola è importante. Ascoltare chi ha punti di vista diversi è un arricchimento. È fondamentale che anche tra le mura scolastiche si affrontino certe tematiche e non ci si chiuda solamente nella torre d'avorio della grammatica o dell'italiano.
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"Per vivere in armonia, è necessaria la conoscenza e soprattutto il rispetto di tutti, anche di chi vive in modo diverso dal nostro". Intervista a Mirella Majerna, insegnante della Scuola Primaria Aldo Moro, Abbiategrasso (MI)
La nostra scuola ha da sempre aderito ai progetti Link to school; con le mie classi abbiamo partecipato al Progetto negli ultimi 6 anni. Credo che i nostri alunni, grazie al Progetto, abbiano la possibilità di avvicinarsi ad una realtà lontana nello spazio, ma vicina, grazie anche al fenomeno della globalizzazione (nella nostra scuola per esempio abbiamo un buon numero di alunni stranieri, direi ben integrati).
Questa vicinanza rende i bambini (e le loro famiglie) più sensibili verso gli altri, rendendoli partecipi e arricchendoli non solo dal punto di vista culturale. Per questo è importante educare i bambini alla cittadinanza globale. Credo che debbano crescere con l'idea che il loro mondo non debba avere confini e che il cambiamento per essere positivo dovrebbe coinvolgere tutti, anche coloro che vivono lontani.
Io insegno da 35 anni ed ho osservato un grande cambiamento dei ragazzi nel tempo.
Negli anni '80 e '90 le famiglie riconoscevano alla scuola un maggiore valore educativo; si collaborava per stabilire una relazione efficace, con lo scopo di aiutare i ragazzi a costruire la propria identità. Oggi questo risulta difficile da realizzare: si è persa la fiducia nell'istituzione scolastica e ciò rende difficile realizzare il nostro Progetto. La scuola infatti non deve solo istruire, ma anche educare, in collaborazione con la famiglia. Paradossalmente è molto più facile il rapporto con le famiglie che provengono da Paesi in cui è tradizione affidarsi agli insegnanti.
In generale noto che i ragazzi sono diventati più individualisti, poco propensi alla relazione con gli altri. Gli innumerevoli problemi della nostra società (sicurezza, sovraffollamento, nuove tecnologie mal usate…) impediscono ai ragazzi di vivere serenamente i rapporti con gli altri. Ecco perché consideriamo fondamentale il Progetto: per avvicinarli a chi, invece, vive ancora il rapporto umano dalla giusta prospettiva: solidarietà, amicizia…Anche grazie a questo scambio possono imparare che, per vivere in armonia, è necessaria la conoscenza e soprattutto il rispetto di tutti, anche di chi vive in modo diverso dal loro.
L'Africa è un continente ricco di storia e tradizioni. La conoscenza di Paesi e popoli diversi implica uno scambio che facilita sempre l'integrazione. E sappiamo, in questo momento, quanto questo sia importante per tutti gli uomini, senza distinzione di razza, Paese o religione.
Senza dimenticare che nella conoscenza reciproca si possono anche fare scoperte singolari. Ricordo che i miei alunni dello scorso anno, per esempio, rimasero colpiti dalla serenità con cui i ragazzi in Kenya, prima di recarsi a scuola, provvedevano alle varie faccende per aiutare i loro genitori. E lo facevano con il sorriso sulle labbra. Il commento di alcuni fu: "Al mattino noi ci mettiamo davanti alla TV e quando la mamma ci dice che è ora di andare ci lamentiamo e magari sbuffiamo. Loro, invece, aiutano in casa senza che nessuno glielo chieda!".
Ringrazio AMREF per l'opportunità che offre, ogni anno, ai nostri ragazzi.
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"La cultura dell'altro deve crescere assieme al bambino, per fare un modo che lui stesso sia in grado di costruirsi una propria visione del mondo". L'intervista a Silvia, Brizio, insegnante del Circolo Didattico Gobetti, Torino
Abbiamo conosciuto il progetto Link to School grazie ad una collega che aveva già collaborato con Amref e che ci ha presentato la realtà di questa organizzazione, che per noi è stata molto interessante. Noi come scuola già di principio lavoriamo molto con attenzione al prossimo. La nostra è una scuola molto aperta al cercare di sensibilizzare su progetti di solidarietà e su questo costruiamo proprio una programmazione dettagliata.
Quello dell'infanzia pensiamo che sia il momento più importante nella vita di ogni individuo e l'educazione all'altro, alla cittadinanza globale, è fondamentale, in primo per la multi-cultura presente attualmente nelle scuole. Ormai conviviamo quotidianamente con persone di nazionalità diverse. Nella nostra scuola abbiamo anche bambini che arrivano da zone difficili.
A questi cambiamenti sociali, si contrappone purtroppo una dilagante cultura sbagliata, che passa spesso anche attraverso i telegiornali, che tendono a spaventare e a dare una visione negativa dellaltro, di chi viene da altri Paesi. Queste persone vengono dipinte come soggetti che portano solo criminalità e tolgono il lavoro
agli italiani. Per contrastare tale tendenza ala chiusura crediamo fortemente che la cultura dell'altro debba crescere assieme al bambino, per fare in modo che lui stesso sia in grado di costruirsi una propria visione del mondo. In questo modo, anche di fronte a degli adulti che presentano in modo negativo l'altro, il diverso da me, il bambino mantiene una identità propria, le sue idee. Inoltre crediamo fortemente che più si parte da piccoli, più si aiuta a prevenire il bullismo, sia come atto compiuto che come atto subito.
I bambini non sono neutri. Il bambino di per sé ha una grande apertura mentale, ha solo da insegnare a noi adulti, se solo noi fossimo capaci di non creargli dei preconcetti. Io ho ricevuto lezioni di vita da bambini che hanno saputo accettare bimbi diversi, non solo di colore di pelle, ma anche con handicap gravi. D'istinto, si sono avvicinati e hanno avuto un atteggiamento del tuto positivo. Ma ci sono anche bambini nella cui testa vengono instillati dei forti preconcetti. Abbiamo casi a scuola, per esempio, di diversi genitori con grossi problemi di razzismo, che in qualche maniera hanno trasmesso la loro visione ai figli. I bambini hanno manifestato atteggiamenti giudicanti, si sono sentiti autorizzati e in grado di giudicare la diversità. Sicuramente l'adulto, il genitore ha un forte peso nei confronti del bambino, in termine di creazione di preconcetti. È per questo che assume rilievo il ruolo dell'insegnante, che è quello di fornire un punto di vista alternativo, strumenti di confronto.
Per non parlare del fatto che i nostri bambini, oggi, nella stragrande maggioranza dei casi, non sono più in grado di riconoscere il valore di ciò che hanno. Perciò si impone necessario scuotere le anime e noi come insegnanti dobbiamo tentare di raggiungere questo obiettivo. Quante cose si posseggono e si sprecano, non vengono valorizzate.
Nel confronto con l'altro, con Paesi e continenti diversi, con l'Africa per esempio, i bambini possono comprendere quanto sono fortunati.
Io insegno da 28 anni e francamente sono spaventata per questi bambini, perché loro non si rendono conto di quello che hanno, di come lo sprecano, di come lo vivono, di come non sanno dire grazie, o attendere.
Vedere ciò che altri bambini non hanno in Africa può essere un modo per farli riflettere.
Bambini di oggi hanno tutto, non c'è più niente che susciti in loro una vera gioia. È tutto talmente facile da ottenere che non danno alle cose alcun valore, mentre normalmente quando i bambini sono piccini dovrebbero apprezzare anche il più semplice, piccolo, dono. Dunque se sono così oggi, che prendono e buttano via, da adulti cosa diventeranno?
Il bambino a scuola deve ricevere dei messaggi che lo colpiscano, che gli arrivino in modo forte. Perché in questo modo gli verrà naturale parlarne anche a casa e già il fatto che abbia voluto raccontarlo è un obiettivo importante. Nel parlare di ciò che di nuovo ha scoperto con i suoi genitori, inoltre, i concetti gli entrano nella testa e - soprattutto - gli entrano nel cuore. È il segnale che il bambino è stato scosso dentro. Ed è a questo che noi puntiamo.
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