Giulia Marras, giovane ostetrica, ha visitato il progetto contro le mutilazioni genitali femminili di Amref in Kaijado, Kenya. Ci siamo fatti raccontare il suo viaggio.

Giulia Marras, puoi raccontarci qualcosa di te?
Ho 26 anni, mi sono laureata in ostetricia due anni fa alla Sapienza, al Policlinico Umberto I, di Roma. La mia tesi è stata proprio sulla salute riproduttiva delle donne migranti.
La salute riproduttiva mi ha sempre interessato, volevo fare un lavoro con le donne, utile per loro. Da sempre, volevo occuparmi non solo del parto ma di difendere i diritti delle donne, ed è questo il mio lavoro. Attualmente, nello specifico, lavoro alla Caritas di Roma dove gestisco un progetto di accompagnamento alla maternità; le utenti sono donne che vivono in situazioni di difficoltà, escluse da rete sociali, sia migranti e rifugiate che italiane, e nasce nelle periferie di Roma.

Come hai deciso di partire?
Lo scorso agosto " era per me il primo viaggio in Africa - abbiamo visitato da Nairobi alla zona del Kaijado, dove Amref ha i suoi progetti, in una missione durata una decina di giorni.
Dopo la laurea, ho fatto un anno di tirocinio al SaMiFo (il Centro di salute per migranti forzati di Roma, nato nel 2006 dalla collaborazione tra il Centro Astalli e la ASL Roma 1 al fine di promuovere la tutela della salute dei migranti forzati, ndR), con il dottor Giancarlo Santone. Dunque nel lavoro in ambulatorio, dove avviene anche la certificazione delle violenze, ho iniziato a lavorare sul tema della mutilazione genitale. Da qui è nata la volontà di conoscere anche i luoghi di origine delle persone che ascoltavo e visitavo come ostetrica.

La tua visita ha avuto come focus le mutilazioni genitali femminili: che cosa hai "scoperto"? Quali incontri e pratiche africane ti hanno colpito?
Le donne all'interno del villaggio parlavano di sesso in maniera molto aperta. Abbiamo partecipato a dialoghi in cui uomini, donne e bambini, tutti insieme, parlavano di sessualità riproduttiva, sedendosi in cerchio, e ho pensato a quanto noi in Italia siamo indietro, rispetto a questa tematica. Ho sentito discutere persone di tutte le età di piacere sessuale, insieme agli anziani del villaggio e a due ostetriche locali.
La seconda parte del progetto partito in Kenya, prevede proprio tre incontri a Roma con tre comunità africane (etiope eritrea e somala) sullo stile del "cerchio" africano, unendo staff samifo (ostetrica e mediatrici) staff amref (italia/africa) e donne delle comunità che coinvolgeremo, per parlare insieme di MGF.
Cercheremo di riproporre un modello di incontro africano conosciuto durante la missione, sfruttando quello che abbiamo imparato in Kenya sulle MGF e il prezioso aiuto delle mediatrici che saranno presenti a tutti e tre gli incontri, e sfruttando la presenza degli operatori africani di Amref, per apprendere ancora di più, questa volta a Roma.

Che ripercussioni sul tuo lavoro?
Il viaggio in Africa ha sicuramente migliorato il mio lavoro. Conoscere un po' meglio uno dei paesi di provenienza delle pazienti mi ha dato modo di ma avvicinarmi un po' di più sia all'Africa che a questo tema, alla cultura africana. Ora ho un'empatia maggiore, mi sento in connessione più profonda con le radici e le culture delle donne con cui lavoro, e credo questo sia il modo migliore per non entrare a gamba tesa su questo tema che è molto delicato.
Ho trovato nuovi spunti per studiare e migliorare, ho scoperto che c'è molto di più di quello che crediamo dietro le mutilazioni genitali, che la storia è molto lunga e complessa, che riguarda anche la loro visione di e come donne nella società.

Ci torneresti/ tornerai?
Ci tornerei subito, sia per il mio lavoro che per me come persona. Mi piacerebbe capire sempre meglio il tema delle mutilazioni genitali. Perché per lavorare meglio qui, nel mio Paese, devo conoscere le culture delle donne con cui lavoro: devo andare ad imparare da e con loro, con le donne africane e migranti, per lavorare meglio qui, con tutte le donne.