Cosa accade quando il mondo delle imprese incontra il mondo della cooperazione allo sviluppo? Che tipo di rapporto si instaura o dovrebbe instaurarsi tra profit e non profit nel loro lavoro in Africa? Queste sono alcune delle domande a cui si è tentato di dare risposta durante l'incontro Profit non profit: Dentro e oltre la legge sulla cooperazione, organizzato il 13 novembre a Roma grazie alla partnership tra Amref e Internationalia. L'evento, che rientra tra le attività del progetto Voci di Confine, cofinanziato dall'Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo Internazionale - AICS, è stato immaginato come uno spazio di discussione e confronto in vista dei lavori del vertice interministeriale Africa-Italia che si terrà nella capitale dal 14 al 16 novembre prossimi.

Secondo quanto emerso durante la conferenza, a cui hanno partecipato realtà eterogenee del mondo aziendale, del non profit e delle istituzioni, è innegabile come il continente Africano sia solamente all'inizio di un suo percorso di crescita. Dall'economia alla demografia in espansione, dallo sviluppo urbano all'utilizzo delle nuove tecnologie, l'Africa rappresenta un'area del mondo che non può essere ignorata. In Africa, nonostante permangano numerosi problemi e carenze, è cresciuta negli anni la cosiddetta classe media, è nato e si sta consolidando progressivamente un mercato interno e gli investimenti diretti sono ormai superiori agli aiuti allo sviluppo- ha sottolineato Mario Raffaelli, Presidente di Amref Italia-. Nel solo 2017 si è registrato il +40% di investimenti esteri nel continente. In effetti, come ha ricordato Massimo Zaurrini, direttore responsabile di Africa e Affari e InfoAfrica, L'Africa ci è cambiata sotto i piedi negli ultimi 20 anni. Nel continente c'è oggi grande necessità di creare lavoro e una delle partite fondamentali si nelle città. Nell'immaginario collettivo italiano, il continente africano è sinonimo di aree rurali, ma c'è una grande Africa urbana a cui è necessario prestare attenzione.

Alla luce di ciò, la collaborazione tra profit e non profit può configurarsi come uno scenario win-win: alle organizzazioni gli strumenti per realizzare programmi sostenibili e d'impatto sociale elevato, alle imprese la conoscenza del territorio, i rapporti con le istituzioni e la possibilità dunque di accedere a nuovi mercati.

I partecipanti al convegno si sono trovati concordi nell'esigenza di creare delle partnership che non si estinguano, tuttavia, in un mero scambio, ma che creino un concreto e duraturo valore sociale per le comunità coinvolte. Questo dibattito ha una rilevanza globale - ha dichiarato Githinji Gitahi, Direttore Generale di Amref-. Il focus non è la partnership profit non profit, la domanda da porsi è chi sono i beneficiari di questa relazione. Anche un rapporto di tipo filantropico tra i due mondi non va nella direzione giusta, perché non è equilibrato. Bisogna che la relazione sia paritaria e che profit e non profit, oltre ai loro obiettivi specifici, si rendano conto che il lavoro congiunto deve tendere a un obiettivo comune.

Tra gli elementi che creano difficoltà nella collaborazione, sono state evidenziate le diverse tempistiche proprie delle imprese e delle organizzazioni che si occupano di cooperazione allo sviluppo. Le logiche che sottendono le attività dei due settori sono differenti, tempo è denaro per gli uni, occorre tempo affinché si verifichino cambiamenti sociali per gli altri. Eppure, utilizzando un approccio più flessibile da entrambe le parti, il connubio si prospetta tutt'altro che impossibile, come hanno dimostrato alcune tra le aziende che hanno collaborato con Amref, come D-Heart, Heliopolis o DLA Paper.

Tra le altre cose, l'esigenza di una più stretta collaborazione tra profit e non profit è oggi rimarcata anche dalla legislazione italiana. Nonostante si intravedano ancora buchi normativi, la nuova legge sulla cooperazione (125/2014) introduce novità importanti, non ultima l'ampliamento delle categorie di soggetti che accedono al sistema della cooperazione allo sviluppo - ed ai finanziamenti- prestando particolare attenzione ai soggetti aventi finalità di lucro. Tuttavia Nonostante la diffusione - a più riprese- delle informazioni relative al nuovo quadro normativo, permangono nel mondo delle imprese numerosi vuoti di conoscenze - ha evidenziato Mirko Tricoli dell'AICS-. Un esempio è rappresentato dall'adesione al Global Compact, requisito essenziale per le aziende che si vogliano candidare a entrare nel sistema della cooperazione. Ebbene, moltissime imprese sono convinte di dover pagare per aderire al Global Compact, ma questo non è affatto vero. Certamente devono poter essere in grado, internamente, di fare fede ai principi e alle linee guida dettate da questa iniziativa.

Come è evidente, il dibattito è ancora aperto, ma il terreno si presenta fertile e i tempi maturi per fare un salto di qualità che coinvolga tutti gli attori, mantenendo la barra dritta verso un obiettivo che rimane al di sopra di tutto: il miglioramento della qualità della vita in Africa.