Ho paura per le nostre ragazze. Qui in Tanzania la situazione è molto preoccupante”. Ibrahim Ole Kinwaa, che dal 2017 lavora nel nostro staff in Tanzania per contrastare la pratica delle mutilazioni genitali femminili, teme le conseguenze indirette del Covid-19 su un’intera generazione di giovani donne.

In coincidenza con il lockdown – racconta – è aumentato il tempo che i genitori hanno potuto passare con i propri figli, a casa. Con le scuole chiuse, molte ragazze sono state costrette a subire la mutilazione oppure sono state offerte come spose a uomini più grandi di loro senza poterlo denunciare a nessuno”.

Non è solo la chiusura delle scuole a preoccupare Ibrahim. Mutilazioni genitali e altre violenze contro bambine e ragazze sono, infatti, più diffuse nelle aree rurali, dove l’accesso all’informazione e alle reti di protezione sono limitati. 

Normalmente organizziamo degli incontri dal vivo. È il modo migliore per far comprendere alla comunità quanto sia importante la prevenzione e il contrasto alle mutilazioni e ad altre forme di violenza di genere. Ma le restrizioni negli spostamenti imposte dal Covid-19 ci hanno costretto a pensare a strategie nuove. È nato così il mio show in radio: è importante, anche durante la pandemia, comunicare a istituzioni e leader delle comunità locali i rischi che le ragazze corrono quando non vanno a scuola”.

Ibrahim e, come lui tanti altri, non si è fatto fermare dal Covid-19. Ha continuato con passione il suo lavoro affinché i risultati già raggiunti non venissero sprecati.

Per me la lotta alle mutilazioni genitali è diventata una missione. Mia sorella ha subito la mutilazione quando aveva solo 12 anni. Dopo pochi mesi, è stata data in sposa a uomo più grande di lei. Non ho potuto fare nulla per lei, ma da allora ho deciso che questa è la mia battaglia. E voglio vincerla”.