Denge Lugayo, 56 anni, vive nella contea del Kajiado, in Kenya, e lavora per Amref Health Africa come Project Manager. Denge è padre di quattro figlie. Nella sua comunità, è tradizione che le ragazze preadolescenti si sottopongano alla mutilazione genitale femminile (FGM) come rito di passaggio dall’infanzia all’età adulta. Tuttavia, come padre, Denge non voleva che le sue figlie fossero sottoposte alla mutilazione.

Quando iniziò la tua lotta alle mutilazioni genitali femminili?

La mia lotta alle FGM iniziò quando, nel 1992, una mia giovane amica, dopo aver partorito il primo figlio, iniziò a provare una grave incontinenza, oltre ad un dolore addominale lancinante, prima di accorgersi di aver sviluppato la fistola ostetrica. Tutti nel villaggio la guardavano dall’alto in basso. Era molto stigmatizzata. Una vita di sofferenze a seguito del parto: è questo il rischio a cui la fistola ostetrica espone le giovani donne africane.

Cosa ti toccò di più, di quella situazione?

Ciò che più mi mosse, ai tempi, fu la spiegazione della mia giovane amica. “Ho sviluppato la fistola a causa delle incisioni che l’assistente al parto tradizionale è stato costretto a farmi durante il parto”, mi disse. “Il mio bambino non sarebbe potuto uscire altrimenti, a causa delle cicatrici causate dalla mutilazione, quando avevo 14 anni”. Fu in quel momento che decisi di non sottoporre le mie figlie, che hanno ora 25, 14, 9 e 5 anni, a tale dolore.


Come l’amica di Denge, solo in Kenya, ogni anno circa 2.000 donne sono colpite da fistola ostetrica: una lacerazione dei tessuti genitali. Le conseguenze includono dolore cronico, infezioni e incontinenza, che portano all'isolamento sociale e a una vita di sofferenze. La soluzione esiste ed è l'intervento chirurgico, insieme a un percorso preventivo di formazione e sensibilizzazione.


Come reagì il resto della comunità?

Gli altri padri e uomini della comunità, quando decisi di non sottoporre le mie figlie alla mutilazione, non accolsero subito con favore la decisione. Tuttavia, mantenendo la mia posizione, parlando apertamente con tutti delle mie motivazioni e delle conseguenze della pratica, spiegando loro è un atto che disumanizza la ragazza, che è una violazione dei loro diritti umani, e che priva le giovani donne di ogni potere o diritto, negando loro anche l’opportunità di diventare le donne dei propri sogni, lentamente, oggi, sto vedendo dei cambiamenti all’interno delle comunità.


Denge ha contribuito al progetto Koota Injena, guidato da Amref Health Africa e finanziato da USAID, la cui traduzione italiana è “vieni, parliamo”. Il progetto ha contribuito immensamente al raggiungimento di questo traguardo. Koota Injena è infatti un programma triennale che si è posto come obiettivo quello di coinvolgere gli uomini, in quanto leader e decisori comunitari, nella lotta contro le FGM e i matrimoni precoci e forzati. Koota Injena ha raggiunto 40 comunità di Samburu, Borana, Rendille e Gabra, nelle contee di Samburu e Marsabit (dove le FGM si attestano all’86% e al 91,7% e i matrimoni precoci e forzati al 38% e all’80%, rispettivamente a Samburu e Marsabit).


Quali sono alcune delle sfide che devi ancora affrontare nel tuo lavoro con uomini e padri?

La maggior parte degli uomini crede ancora che le mutilazioni non siano “affari loro”, ma io credo che la battaglia per l’uguaglianza di genere e la cessazione della violenza sulle donne non è un affare che riguarda esclusivamente l’universo femminile, ma la totalità dell’essere umano.

La foto in evidenza non mostra Denge, ma un altro dei molti padri che Amref celebra tutti i giorni, per aver scelto di dare a sua figlia l’opportunità di diventare la donna dei suoi sogni.
Denge Lugayo a destra e a sinistra George Kimathi, oggi Direttore del centro di formazione di Amref a Nairobi