L’11 febbraio si celebra la Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza. Amref, forte della sua esperienza pluridecennale nella lotta contro la disuguaglianza di genere, per l’occasione, vuole raccontare la storia di una giovanissima ricercatrice nell’ambito della Sanità Pubblica, che si è posta da tempo l’obiettivo primario di aiutare tutti coloro che sono affetti da malattie prevenibili.

Yvonne Opanga, una vita per la ricerca scientifica.

Yvonne Opanga, una donna per la ricerca sull’HIV.

Il COVID-19 nei Paesi a basso e medio reddito con sistemi sanitari deboli, e la conseguente influenza sui sistemi di controllo, prevenzione e intervento relativi alla lotta contro l’HIV, è una prospettiva che fa riflettere. Yvonne, Insieme ad altri esperti del settore, ha condotto una ricerca pubblicata a dicembre sull’impatto della pandemia COVID-19 su questioni sanitarie chiave, tra cui i programmi ed interventi per la lotta contro l’HIV, tra luglio e ottobre 2020, in sette contee del Kenya.

“Il mio percorso in questo campo è inconsapevolmente iniziato quando ero solo una bambina. Nei primi anni ’90, il mio paese, il Kenya, era devastato dall’HIV; un’epidemia iniziata ufficialmente nel 1984. Le ricerche erano agli albori, e le persone infettate morivano frequentemente senza alcuna spiegazione. Lo stigma associato al virus e alla malattia non permetteva di approfondire l’argomento. Io ero solo una bambina, ma tutto ciò mi intristiva molto, e decisi allora di diventare un medico. Quando poi alla scuola superiore conobbi materie quali la biologia e la scienza pensai che invece di curare la malattia potevo aiutare a prevenirla, e mi appassionai alla ricerca.

Dopo una lunga serie di tentativi ed esperienze in vari settori, oggi lavoro in Amref Health Africa come Responsabile di Ricerca, e al momento sto partecipando anche ad un corso di ricerca bioetica, volto ad assicurare che tutto ciò che faccio sia corretto non solo a livello scientifico ma anche umano.

Oggi, quando vedo i risultati ottenuti dalla ricerca, so di essere sulla strada giusta per fare sempre di più, dall’interno, per il mio continente. Rispetto a quando ero una bambina il panorama è cambiato drasticamente. La prevalenza generale dell’HIV nel Paese è passata dal 5.9% nel 2010, al 4.9% nel 2018, il numero di nuove infezioni dallo 0.35% nel 2010 allo 0.14 nel 2018, mentre il numero totale di persone affette da HIV è passato da 44.000 nel 2017 a 36.000 nel 2018. Sono passi importantissimi.

Nel 2014 il Kenya è stato inserito all’interno di una agenda globale dal Programma delle Nazioni Unite per la lotta all’HIV/AIDS: il progetto 90, 90, 90, orientato ad ottenere che entro il 2020, nel mondo, il 90% di tutti i casi di HIV fosse diagnosticato, il 90% delle persone sieropositive avesse accesso alle terapie antiretrovirali e il 90% delle persone trattate potesse ottenere la soppressione della carica virale. Il Kenya ha ottenuto ottimi risultati: entro la fine del 2020, il 79,5% delle persone HIV positive nel Paese è a conoscenza del proprio stato di HIV, Il 96% segue una terapia salvavita e il 90,6% di questi ha raggiunto l’annullamento della carica virale. L’obiettivo, per i prossimi anni, sarà 95, 95, 95, fino ad arrivare all’eradicazione totale dell’HIV.

Tuttavia, il COVID-19 ha messo a dura prova questi progressi. Dalla ricerca svolta con i miei colleghi, volta ad analizzare l’impatto della pandemia COVID-19 su questioni sanitarie chiave, tra cui i programmi ed interventi per la lotta contro l’HIV, in sette contee del Kenya, emerge che dall’inizio dell’emergenza, nel marzo del 2020, i servizi, i programmi e gli interventi relativi alla lotta contro l’HIV sono stati ridotti del 56%. Analogamente, il numero di persone che hanno intrapreso una terapia antiretrovirale in grado di sopprimere la carica virale del virus nel plasma (HIV-RNA) si è ridotto del 48%. Anche la percentuale di intervistati che ha smesso di frequentare le strutture sanitarie dedicate alle terapie e ai programmi per l’HIV, si è ridotta negli ultimi mesi, proprio per la paura di contrarre il COVID-19 (50% e 33%, rispettivamente luglio e ottobre 2020).

La ricerca si basa su un campione di 176 persone HIV positive, distribuite in maniera proporzionale nelle 7 contee interessate: Nairobi, Mombasa, Nakuru, Kajiado, Busia, Kiambu e Machakos.

Da considerare è anche che quasi tutti (96%) gli intervistati, a causa delle conseguenze avverse del COVID-19 erano ad alto rischio di insicurezza alimentare e malnutrizione. Il 19% degli intervistati a luglio, il 21% ad agosto e il 23% ad ottobre ha infatti dichiarato di essere rimasto senza mangiare per almeno un giorno intero. A causa di ciò e del timore di infezione da COVID, la ricerca di supporto, test, o interesse nella gestione dell’HIV sono passati in secondo piano durante il periodo interessato. La situazione è sembrata tuttavia migliorare verso la fine del periodo di ricerca.

Tuttavia, trovo doveroso sottolineare anche il lato positivo e considerare che la ricerca ha dimostrato che l’utilizzo della profilassi pre-esposizione (PrEP) è aumentata significativamente del 24% dall’inizio della pandemia.

Il fatto che questa ricerca sia stata ideata, svolta e diffusa da un team di esperti interamente africano rappresenta, per me, una nuova alba. Il mondo spesso racconta il nostro continente con dedizione ed attenzione, ma il valore aggiunto di questo ricerca sta nell’esperienza che ognuno di noi ha avuto all’interno del contesto analizzato.

Amref Health Africa ha fatto un lavoro formidabile dall’inizio della pandemia, sia per mitigare la diffusione del COVID-19, sia per limitare le conseguenze avverse legate indirettamente o direttamente a quest’ultimo.

Stiamo vivendo in una nuova normalità, peggiore, ma c’è sempre la luce alla fine del tunnel. Ne usciremo, ne sono certa.”

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