Lunghe file negli ospedali o orari di lavoro interminabili sono alcune delle conseguenze della carenza di operatori sanitari in Africa.

Un numero insufficiente e che si riduce ancor di più perché molti di questi professionisti cerca sempre più spesso nuove opportunità di lavoro nel nord del mondo.

Gli operatori "sono la spina dorsale di ogni sistema sanitario e, tuttavia, 55 Paesi con alcuni dei sistemi più fragili (...) al mondo non ne hanno abbastanza", e molti li stanno perdendo "a causa della migrazione internazionale", ha avvertito il direttore generale dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) Tedros Adhanom Ghebreyesus.

37 Paesi africani hanno un numero di medici, infermieri e ostetriche inferiore alla media globale.

Un dato in contrasto con le esigenze sanitarie del continente: secondo l'Unione Africana, nonostante l'Africa soffra del 25% del carico globale di malattie, ha solo il 3% di operatori sanitari.

Le cause di un paradosso

Le ragioni alla base di questa storica carenza di personale sanitario sono molteplici: dalla mancanza di infrastrutture alla rapida crescita demografica.

Un dato su tutti: la spesa sanitaria pro capite nei Paesi subsahariani è ancora molto bassa, con una media di 128 dollari rispetto agli oltre 4.000 dollari dei membri dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE).

Il problema, quindi, non è solo la formazione degli operatori sanitari, ma anche la possibilità di assumerli.

"Assistiamo a un paradosso in cui, da un lato, abbiamo una carenza di operatori sanitari ma, dall'altro, abbiamo operatori formati che non riescono a trovare un lavoro adeguato perché non ci sono abbastanza fondi per assumerli", avverte James Avoka Asamani, economista a capo del team sulla forza lavoro sanitaria in Africa dell'OMS.

Secondo Asamani, in Africa un professionista sanitario formato su tre non trova lavoro entro il primo anno dalla laurea.

E quelli che lo trovano, devono affrontare condizioni precarie, con stipendi bassi e attrezzature insufficienti, in contrasto con le opportunità e le infrastrutture di Paesi come gli Stati Uniti, il Regno Unito, il Canada o l'Australia.

L'impatto è visibile nei dati: tra il 2005 e il 2015, il numero di laureati internazionali in medicina negli Stati Uniti formati in Africa è aumentato del 27%, come se uno studente africano emigrasse in quel Paese ogni giorno per un decennio.

La tempesta perfetta

Come se non bastasse, negli ultimi anni è emerso un fattore tanto inaspettato quanto decisivo: la pandemia COVID-19, che ha lasciato i Paesi ricchi con un crescente divario tra domanda e offerta di personale sanitario, la tempesta perfetta.

"Le assunzioni internazionali offrono due vantaggi ai datori di lavoro: sono più rapide, invece di formare un infermiere o un medico per anni, si assume qualcuno già qualificato, e sono anche più economiche, perché non si paga la loro formazione", spiega James Buchan, analista della Health Foundation, un'organizzazione britannica che studia e collabora con le istituzioni.

In questo modo, l'Africa non solo perde i suoi talenti migliori, ma anche il denaro investito nella loro formazione.

Secondo uno studio del 2011, Etiopia, Kenya, Malawi, Nigeria, Sudafrica, Tanzania, Uganda, Zambia e Zimbabwe perdono circa 2 miliardi di dollari all'anno a causa di questo fenomeno.

Per mitigare gli effetti della fuga all'estero del personale sanitario formato nel continente, nel 2010 l'OMS ha pubblicato un codice di condotta volontario che sconsiglia il reclutamento "attivo" nei Paesi vulnerabili.

Ma, nonostante sia stato adottato dai 193 Stati membri, che hanno compiuto alcuni passi in questa direzione, i numeri continuano a crescere.

Secondo Buchan, i Paesi ricchi "sostengono che non si tratta di reclutamento attivo", ma piuttosto di "singoli infermieri e medici che fanno domanda o, in alcuni casi, di accordi bilaterali".

La verità è che, dall'inizio della pandemia, questi governi hanno messo in atto una lunga serie di meccanismi, come l'accelerazione del riconoscimento delle qualifiche o la semplificazione della burocrazia per l'immigrazione.

Vietare o regolamentare?

Di fronte a questo bivio, i Paesi africani stanno optando per soluzioni diverse: da una controversa proposta di legge in Nigeria che vieta ai medici di lasciare il Paese nei primi cinque anni dopo la laurea, a un accordo bilaterale tra Kenya e Regno Unito per l'assunzione di infermieri.

Sebbene nessuna soluzione vada bene per tutti, gli esperti sostengono sia il rispetto della libera circolazione dei lavoratori, ma anche la promozione di una migrazione ordinata, che permetta di aumentare il reddito del continente attraverso le rimesse o gli accordi tra i governi.

"Vogliamo che l'Africa produca per il mondo, quindi dobbiamo migliorare la capacità di formazione con investimenti", ha dichiarato George Kimathi, Direttore dell'Amref Institute of Capacity Development.

"Dobbiamo fare molto di più per trattenere i nostri operatori e servire le nostre popolazioni", conclude.