Le mutilazioni genitali femminili (MGF) sono spesso percepite come un fenomeno lontano, confinato a contesti africani o asiatici.

La realtà è molto diversa: oggi migliaia di donne che vivono in Europa hanno subito questa pratica e si trovano a convivere non solo con le conseguenze fisiche e psicologiche di questa forma di violenza di genere, ma anche con un sistema che spesso le discrimina in quanto donne, migranti e sopravvissute.

Secondo un rapporto della rete europea contro le mutilazioni genitali femminili (End FGM EU), il continente europeo deve riconoscere con più chiarezza questa doppia violenza: la violenza di genere legata alle mutilazioni e quella del razzismo strutturale, che impedisce alle sopravvissute di accedere a cure, diritti e opportunità di piena integrazione sociale.

Un fenomeno anche europeo

In Europa, secondo End FGM EU, le donne e ragazze che vivono a rischio o portano i segni di questa pratica sono centinaia di migliaia. In Italia, per esempio, i dati del Ministero della Salute indicano che circa 87.000 donne provengono da Paesi dove la pratica è diffusa.

Ma numeri a parte, ciò che spesso manca è una risposta adeguata in termini di assistenza sanitaria, protezione legale e percorsi di inclusione sociale.

La barriera del razzismo

Il rapporto della rete europea evidenzia un aspetto spesso trascurato: il razzismo che attraversa la vita delle sopravvissute.

Nei sistemi sanitari europei, le donne segnalano difficoltà nell’ottenere diagnosi tempestive, cure rispettose e percorsi di ricostruzione chirurgica e psicologica. Molte raccontano di sentirsi giudicate, ridotte a “casi etnici” invece che accolte come pazienti con bisogni complessi.

Nel mondo del lavoro, la marginalizzazione economica si intreccia con pregiudizi culturali e barriere linguistiche, rendendo più difficile conquistare autonomia economica.

E anche nelle politiche di asilo e immigrazione, le MGF vengono talvolta usate in modo strumentale, alimentando narrazioni islamofobe o xenofobe, anziché proteggere realmente le donne.

Un continuum di violenze

Le MGF non sono un fatto isolato: fanno parte di un continuum di violenze di genere. Molte sopravvissute hanno vissuto anche matrimoni forzati, violenza domestica, esclusione sociale.

Questi traumi si sommano a un contesto di discriminazioni strutturali, rendendo il percorso di emancipazione ancora più complesso.

Affrontare le mutilazioni significa combattere anche il razzismo, le disuguaglianze economiche, la precarietà giuridica delle donne migranti.

Sopravvissute, non solo testimoni

Un altro punto centrale del rapporto riguarda il ruolo delle sopravvissute all’interno dei movimenti e delle organizzazioni che si occupano di MGF.

Spesso queste donne vengono coinvolte come “testimoni viventi” – chiamate a raccontare il proprio trauma per sensibilizzare l’opinione pubblica, ma non vengono riconosciute come leader ed esperte.

Al contrario, un approccio realmente trasformativo dovrebbe garantire alle sopravvissute un ruolo attivo nella progettazione, gestione e valutazione dei programmi contro le mutilazioni.

La loro esperienza diretta è una risorsa fondamentale, non solo un racconto da esibire.

Il ruolo di Amref

Lavoriamo in TanzaniaKenyaEtiopiaUgandaMalawi Senegal per contrastare il fenomeno attraverso azioni di prevenzioneempowermentprotezione e politiche integrate.

Investiamo in istruzionesalute sessuale e riproduttivaprotezione legale e accesso a opportunità che cambiano il futuro delle ragazze, di intere comunità e delle generazioni future.

In Europa e in Italia lavoriamo per poter contrastare un fenomeno che mina alla base ogni possibilità di emancipazione, indipendenza e autodeterminazione delle ragazze e delle bambine. In particolare, nel nostro Paese l’impegno è finalizzato a:

  • Promuovere l’empowerment comunitario e femminile, aumentando la conoscenza e la consapevolezza per l’avvio di un cambiamento culturale e comportamentale all’interno della comunità.
  • Proseguire nello scambio di buone pratiche con l’Africa e con i paesi europei che lavorano sul tema con ottimi risultati (Francia, Belgio, U.K.).
  • Informare, formare e sensibilizzare i servizi, gli operatori e l’opinione pubblica, coinvolgendo attivamente anche Istituzioni, Associazioni del terzo settore, Fondazioni, Aziende e agenzie media.
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Una questione di salute, diritti e giustizia sociale

Le mutilazioni genitali femminili sono una violazione dei diritti umani, una minaccia alla salute e un simbolo di disuguaglianza. Ma se vogliamo sradicarle, dobbiamo guardare oltre la pratica stessa: dobbiamo riconoscere il ruolo che giocano il razzismo, la povertà e l’esclusione sociale nel perpetuare il dolore delle sopravvissute.

Come ricorda End FGM EU, combattere le MGF in Europa significa anche lottare per un continente più giusto e inclusivo, dove tutte le donne – indipendentemente dalla loro origine – possano vivere con dignità, salute e libertà.